lunedì 7 dicembre 2009

Bella intervista a Giulio Scarpati per l'apertura della Stagione Teatrale aquilana


Da "Il Centro" di oggi
Scarpati: ricomincio da L’Aquila
Stasera l’attore in «Amori ridicoli» per la riapertura della stagione del Tsa
Nel 1981 ho iniziato qui con Castellitto nel Candelaio
Una tournée in pullman per tutto l’Abruzzo
GIULIANO DI TANNA
«Se farò la nuova serie di “Un medico in famiglia”? Dipende: se sarà scritta bene, se ci saranno di nuovo tutti, se sarà un’avventura collettiva e se non si stravolgerà il racconto, allora la risposta potrebbe essere sì».
Giulio Scarpati è reduce dal successo della sesta edizione di «Un medico in famiglia”, la serie televisiva di Raiuno campione di ascolti in cui, dopo dieci anni, è tornato a interpretare il ruolo di Lele Martini, il dottore a capo di una famiglia in cui tutti si complicano la vita ma in cui alla fine (nell’ultima puntata) puntualmente arriva la pace. Giulio-Lele era diviso fra due donne, nell’ultima serie. Un po’ come l’Eduard di «Amori ridicoli» di Milan Kundera, lo spettacolo (si legga l’articolo nel box) che l’attore romano porta in scena, stasera con inizio alle 21, nell’auditorium della Scuola della Guardia di finanza di Coppito all’Aquila. La pièce apre la stagione 2009-2010 del Teatro stabile d’Abruzzo, la prima del dopo terremoto. Per Scarpati, 53 anni, è un ritorno alle origini, come spiega in questa intervista al Centro.
Che cosa rappresenta per lei aprire la stagione teatrale in una città come L’Aquila dopo il terremoto?
«Da parte mia è un segnale piccolo di disponibilità. All’Aquila, nel 1981 con il Teatro stabile, ho mosso i miei primi passi come attore professionista nello spettacolo “Il candelaio” di Giordano Bruno con la regia di Aldo Trionfo. Con me c’era anche Sergio Castellitto. Era una compagnia molto ricca. Mi ricordo questa tournée molto lunga. Tutti su un pullman da una città all’altra dell’Abruzzo. E’ stato il mio primo incontro con il teatro ufficiale. Prima di allora avevo lavorato solo con una cooperativa teatrale a Roma. Tornare all’Aquila dopo il terremoto? Penso che rimettere in moto la macchina culturale di una città possa essere un segnale di cambiamento e di ritorno alla normalità. Per me significa far ripartire un percorso. Spero che altri artisti dimostrino disponibilità verso una città e una situazione che hanno bisogno di aiuto. So benissimo che, dopo un terremoto, le priorità da affrontare possono sembrare altre, ma serve anche il teatro».
Che cosa l’ha attratta di «Amori ridicoli» di Milan Kundera?
"E’ un testo in cui convivono due aspetti. C’è questo amore del protagonista per due donne diverse: una che vive in un Paese dell’Est europeo e una ragazza molto religiosa. E in mezzo c’è lui, il protagonista, che si barcamena in situazioni assolutamente inaspettate. Ad attirarmi è stato anche il tema del rapporto fra finzione e verità, importante per un attore. C’è poi da dire, onestamente, che la scelta è caduta su questo testo di Kundera anche perché l’auditorium della Scuola della Finanza è meno attrezzato, per forza di cose, a ospitare uno spettacolo scenicamente più complesso come, per esempio, “Troppo buono” che sto portando in giro per l’Italia e che riprenderò subito dopo L’Aquila».
Lei si è mai trovato nella condizione di dover fingere come il protagonista di «Amori ridicoli»?
«No, non mi è mai capitato. Un aspetto divertente del testo è vedere il disagio del protagonista e il fatto che riesce a venirne fuori solo con un colpo di genio. Tutti quanti, prima o poi, ci siamo trovati in situazioni in cui non sapevamo che cosa fare».
E’ sempre utile dire la verità?
«Be’ sì. Ovviamente, un conto sono le fesserie che uno può dire per scopi di poco conto e un altro sono le cose importanti. In quest’ultimo caso penso che, sì, è sempre utile dire la verità. Soprattutto non si deve fingere di essere qualcun altro. Per tornare al testo di Kundera, in quei Paesi dell’Est prima della caduta del Muro, la finzione era un elemento costitutivo dell’esere di ciascuno. Si era costretti a dire e a essere ciò che non si era».
E’ soddisfatto del suo ritorno nel cast di «Un medico in famiglia»?
«I numeri hanno dato ragione a questa sesta serie. Sono contento ovviamente del successo del programma e dell’affetto del pubblico. Erano dieci anni che mancavo. La scelta di tornare è stata una decisione motivata anche dal fatto che, in questo periodo di tempo, avevo fatto tante cose diverse, per cui mi sentivo meno condizionato dal personaggio di Lele».
Ha sentito la mancanza, in questi anni, del rapporto con il grande pubblico televisivo?
«Ho fatto delle scelte un po’ meno popolari con un riscontro di pubblico meno forte rispetto al “Medico in famiglia”. Ma, anche quando non si fanno grandi numeri, e ci si dedica a racconti più complessi, destinati a un pubblico più ristretto che, un attore raccoglie soddisfazioni. E’ chiaro che in una serie come quella del “Medico” l’affetto per il personaggio è molto profondo e questo lo percepisci in maniera forte. Ma, alla fine, le scelte che uno fa dipendono da ciò che uno vuole raccontare. Per cui, non sono pentito di aver abbandonato per dieci anni il personaggio di Lele per fare altro».
Nel suo futuro c’è più televisione, più cinema o più teatro?
«Io spero di alternare gli impegni come ho sempre cercato di fare. Per me l’attore è uno e trino. Il teatro, certo, è il mio pane quotidiano. L’emozione che ti dà il pubblico è impagabile. Adesso sono contentissimo di portare in tutta Italia questo “Troppo buono”, che concluderemo al Piccolo Eliseo di Roma. Poi ci sono progetti di televisione e di cinema. Ma il teatro offre una maggiore libertà per fare cose diverse e dà il vantaggio incredibile del contatto con il pubblico dal vivo».

1 commento:

elena ha detto...

Bellissima intervista e, ripeto, quanto sottolineato ieri: è significativo che si pensi ad una "ripartenza" anche da un punto di vista della cultura...Perchè è anche così che si "rinasce" dopo tragedie simili. Anzi, se si "ricomincia" a pensare che "anche" la cultura in tutte le sue forme DEVE tornare a "vivere",allora significa che si ha la volontà di ricominciare tutto d'accapo e la gente d'Abruzzo questo lo ha sempre dismostrato fin dall'inizio, con orgoglio e dignità.