mercoledì 12 novembre 2008

In diretta da Pistoia: interviste prima dello spettacolo 'Troppo buono'


Da La Nazione di oggi

Quella faccia da troppo buono Scarpati, fuga da un’etichetta

di LORENZO MAFFUCCI— PISTOIA —

DICIAMOCELO: il sospetto che Giulio Scarpati fosse “troppo buono” ci era già balenato da un pezzo. Da “medico in famiglia” alla Caritas fino a don Zeno Saltini, l’attore romano ci ha abituati a immaginarlo con una didascalia: attore buono. Ma non si può mai dire. Dopo la Marlene di Pamela Villoresi, la seconda produzione dell’Associazione teatrale pistoiese debutta al teatro Manzoni alle 21 di venerdì 14 (repliche sabato e domenica): è Troppo buono (appunto), scritto da Marco Presta, voce nota ai fan del Ruggito del coniglio su Radio Rai, e Nora Venturini, anche regista. Scarpati mescola Dostoevskij e i capi indiani, Califano e Petrarca, De Amicis e Gaber, Kubrick e Jovanotti, De Gregori e Gozzano in una spregiudicata antologia del ‘pensiero buono’ delimitata da un enorme schermo bianco (su cui scorrono filmati, spezzoni, giochi di luce) e da un pavimento nero, lucidissimo, appena sbilanciato dalla presenza discreta di un pianoforte (suonato da Bob Messini). Non esattamente un monologo né un recital: Scarpati racconta e canta, e per lui è un’esperienza nuova.

«Dopo tanto teatro — racconta — arrivo a un raffronto diretto col pubblico, senza la protezione di un personaggio. È un gioco che prende spunto dagli ideali e dagli stereotipi: il bambino buono, l’adolescente buono, l’attore buono».

Si parla di lei, insomma.

«Beh, questo è l’aspetto più eclatante con cui vengo identificato: fare sempre personaggi troppo buoni...».

Quindi lo spettacolo non fa a meno dell’autoironia.

«Assolutamente. Ma Nora e Marco hanno messo insieme anche alcuni testi più e meno classici e alcune canzoni che più si adattassero a un racconto sulla bontà e sulle sue controindicazioni. Abbiamo cercato di variare molto e sono contento di provare una cosa diversa. Vediamo l’effetto che fa».

C’è anche della biografia?

«Certamente: il fatto dell’attore buono, che fa beneficenza, sempre combattuto tra la scelta rigorosa e impegnata e quella commerciale, e se fa una cosa popolare ha i sensi di colpa...».

Lei come la vive?

«Ho voluto prendere il toro per le corna e giocare su questa dicotomia. In scena raccontiamo il carnet di un’ipotetica settimana dell’attore buono: lunedì visita all’ospedale, martedì alla casa di riposo e via. Arrivi al sabato e vorresti sterminare il convento dei frati cappuccini. Ma l’attore buono non può farlo, e la domenica va al centro anziani. Nel nostro ambiente l’attore è sinonimo di sregolatezza e sesso sfrenato, dunque l’attore buono è un paradosso».

Ma è più facile vederlo in tv.

«Infatti durante lo spettacolo farò un tentativo di uscire da questo cliché. Prendendo spunto da Shining. E’ una operazione liberatoria: non dico come va a finire. E tenteremo di dimostrare i danni della bontà. Per un buono il teatro può essere molto terapeutico».

Ma non ha mai interpretato un cattivo?

«Una sola volta in un cortometraggio del ‘93, Ciao amore: un giovane che fa a pezzi la fidanzata. Fu presentato a Venezia e premiato a Sulmona. È l’unico premio da cattivo nella mia libreria. Quelli da buono li ho messi da parte».


E ANCORA...
DA 'IL TIRRENO'

PISTOIA.Debutta domani al Teatro Manzoni di Pistoia, in anteprima nazionale, “Troppo buono”, l’ironica denuncia di una cultura buonista e mielosa, interpretata da Giulio Scarpati, l’attore conosciuto dal grande pubblico proprio grazie a “Un medico in famiglia”, una delle serie tv più rappresentative del genere. Andando contro la corrente dei “buoni carabinieri”, dei “buoni preti” o dei “buoni medici, la carta di “Troppo buono” viene giocata anche per prevenire la trappola dell’attore confinato in un ruolo buonista.

«Sulla scena - racconta Scarpati - compio dei tentativi un po’ goffi e ridicoli per essere più cattivo, ma nell’insieme non si è trattato di un’operazione meramente professionale. Viviamo in un mondo in cui la bontà melensa e il sentimentalismo “alla De Amicis” sono molto diffusi, quando invece ci sarebbe bisogno di una condivisione più autentica».

“Troppo buono”, prodotto dall’Associazione Teatrale Pistoiese e con la regia della moglie dell’attore, Nora Venturini, vede Scarpati impegnato in un “one-man-show”, in dialogo diretto e continuo con il pubblico.

«Il testo scritto da Marco Presta ovviamente c’è e non lascia spazio all’improvvisazione - spiega l’attore - ma io non recito un personaggio e mi rivolgo in prima persona direttamente alla platea. Si tratta di una cosa per me del tutto nuova, mai tentata prima e solo da giovedì in poi potrò verificarne gli effetti su di me e sugli spettatori».

Le vicissitudini e i danni di un’ipocrita bontà sono raccontati in “Troppo buono” passando attraverso varie fasi della vita dell’uomo (il bravo bambino, l’adolescente disciplinato, ecc) e con l’ausilio di testi e poesie di autori disparati («da Petrarca a Califano», dice Scarpati). Su tutti campeggia la figura dell’Idiota di Dostojevsky, emblematico personaggio utile a dimostrare come l’autentica bontà e la disponibilità, da chi non è capace di provarle, possano essere scambiate per demenza. I toni narrativi spaziano dal ridicolo, al grottesco, al drammatico, anche con l’ausilio delle musiche di autori contemporanei come Jovanotti, De Gregori, Fossati, Rino Gaetano, Conte, Gaber, suonate al pianoforte da Bob Messini, unica presenza con cui Scarpati duetta nello spettacolo, cimentandosi anche come cantante e musicista.

«I pezzi musicali - continua Scarpati - sono stati scelti in base al tema. Ho voluto sperimentare, unendo linguaggi e registri diversi tra loro, per ottenere un risultato finale variegato, più originale e interessante». Linguaggi assai diversi che Giulio Scarpati è abituato a utilizzare anche mantenendo in parallelo l’attività teatrale con quella cinematografica e televisiva. «Non c’è un settore che preferisco tra i tre - confessa - dipende dalla qualità delle produzioni. Non c’è un primato assoluto del teatro sule altre arti. Un brutto spettacolo teatrale è comunque un danno, sia per te che lo interpreti, sia per gli spettatori. Ovviamente, una brutta serie tv fa danni anche peggiori».

Francesca Garra

1 commento:

elena ha detto...

Belle interviste! che ci rendono - ehm...non è un ...plurale majestatis... - ancora più curiosi... Beh... tra sabato questo e il prossimo tutto ci sarà..."svelato"...!!