venerdì 11 aprile 2014

Intervista esclusiva con Giulio Scarpati da 'Il Popolo Veneto'

UNA BELLA INTERVISTA CHE POSTO INTEGRALMENTE  tratta da 'Il Popolo Veneto'

Com’è nata l’idea di scrivere il libro “Ti ricordi la Casa Rossa? Lettera a mia madre”?

“Erano dieci anni che Mondadori mi chiedeva di scrivere un libro, ma non ho mai avuto niente da dire. In questo caso invece ho pensato di raccontare la malattia di mia mamma e così ho iniziato a scrivere, con momenti di crisi, di insicurezza, perché non avevo mai sperimentato una cosa così difficile, poi sono arrivato faticosamente in porto. Sono stato contento perché sono partito con l’obiettivo di far ricordare a mia madre e alla fine ho ricordato io. Ho dato a me stesso gli strumenti per ricordarmi tutti i momenti belli, le cose accadute durante la mia infanzia e l’adolescenza con mia madre e quindi ho restituito anche la memoria di quello che lei è stata per me, per la mia famiglia. Sono ricordi legati alla nostra famiglia, intrecciati tra mia madre, mio padre, mio fratello, mia sorella, coinvolgono tutti, partendo da questo posto, la Casa Rossa, che per mamma era fondamentale perché ci andava in vacanza mio nonno, che era uno svizzero-napoletano. Nel 1960 i miei genitori hanno comprato la Casa Rossa, e da lì è iniziata la nostra avventura a Licosa. Era un luogo mitico, molto primitivo, di grande libertà. Questo è stato l’approccio, partendo da un luogo che per lei era molto caro e significativo, e lo era anche per noi, perché siamo cresciuti lì per 4 mesi l’anno”.

Ricostruire la vita di sua madre attraverso questo libro è quindi una forma di compensazione per farle rivivere i ricordi ma al tempo stesso per ricordare anche Lei quello che ha vissuto…

“Alla fine è stato così, perché ripensandoci ho dovuto ritornare su tante situazioni del passato, anche sugli scontri con mia madre, è stato un modo per fare una sorta di bilancio personale, di questa vita con mia mamma, di questo rapporto con la famiglia. Mi è servito per superare il dolore, per farlo diventare un’occasione per mettere in gioco non solo certi ricordi ma anche certi valori, che uno magari dimentica… Preso dalla frenesia delle cose, non ti accorgi del patrimonio famigliare che costituisce il cemento di una famiglia, dei sentimenti, delle situazioni… Ho lavorato su questo. Adesso vivo la malattia di mia madre con meno ansie e meno angoscia di quando ho iniziato a scrivere, è stato anche un modo per trovare una maniera diversa di comunicare con lei, non sul piano logico delle parole, ma su quello emotivo. Alla fine ho imparato tante cose”.

Infatti lei diceva che se prima comunicava con sua madre con le parole, adesso attraverso la sua espressività riesce comunque a capirla, ha questo nuovo modo di comunicare…

“Sì, ti sposti dal piano logico al piano dell’emozione, cerchi di capire dall’espressione, dagli sbuffi, da un sopracciglio quello che sta vivendo. Anche perché è difficile stare dentro a una mente che vaga su tempi diversi, nel passato, nel presente. Spesso le persone affette da Alzheimer sono dentro una fantasia tutta loro e diventa difficile relazionarsi su un piano logico, l’unica cosa è trovare un piano emozionale che ti permetta di stare loro vicino. Poi certe volte un gesto è molto più significativo di una chiacchiera, nel senso che un gesto fisico è quello che le persone recepiscono, anche quando si trovano in gravi situazioni di malattia”.

Qual è l’insegnamento più grande che le ha dato sua madre?

“Ha avuto una grande tenacia, perché lei era una donna super attiva. Forse il dolore di vederla in questa condizione è stato grande anche per questo motivo, perché è sempre stata una donna che faceva tremila cose e improvvisamente perdeva colpi e non riusciva più a fare tutto ciò che lei voleva. Sicuramente mia madre mi ha insegnato la tenacia, come capacità di lottare per le cose. Lei si è battuta tanto per l’ambiente, questa sua combattività è l’insegnamento più importante che mi ha dato”.

Quale messaggio vorrebbe arrivasse ai lettori e in particolare a chi ha in famiglia un parente malato di Alzheimer?

“Io volevo che questo libro non fosse soltanto dolore ma che ognuno cercasse attraverso la malattia del proprio caro, di riscoprire anche tutto quello che del passato era divertente, bello. Vedendo una persona che sta molto male ci dimentichiamo com’era prima. Mettere anche i racconti più leggeri del passato, era un modo per far riflettere, per farmi stare meglio… Pensare a mia madre prima, alle cose divertenti vissute in famiglia, piuttosto che combattere rabbiosamente contro una malattia, che al momento non ha una cura…Per cui l’unica soluzione è cercare di continuare a comunicare con la persona. Tanta gente che ha parenti malati di Alzheimer, dopo aver letto il libro mi ha detto “Mi ha tirato su”, è un po’ un paradosso per un libro con questo tema, però è così. L’idea è questa, parlando di ricordi, di passato, uno restituisce anche una personalità che al momento magari sta da un’altra parte. Spero che serva a questo, a me egoisticamente è servito. Io non riuscivo ad affrontare il tema, non riuscivo a sfiorarlo, non leggevo niente riguardo questa malattia, poi invece ti rendi conto che affrontarlo significa anche alleviare il proprio dolore”.

Cambiando argomento e parlando di teatro, lei è in scena al Teatro Stabile di Genova con lo spettacolo “Oscura immensità”, con la regia di Alessandro Gassman. Può parlarci di quest’opera, un noir che tratta temi come il dolore e il perdono…

“E’ un testo di Massimo Carlotto per la regia di Gassman, insieme a me c’è Claudio Casadio. La storia è ispirata a un fatto di cronaca, praticamente 15 anni prima mi hanno ucciso la moglie e il figlio di 8 anni, in una rapina fatta da due rapinatori, uno è stato arrestato e condannato all’ergastolo, invece l’altro è riuscito a scappare. L’ergastolano si scopre malato di tumore e chiede il mio perdono per ottenere la grazia, io a inizio spettacolo il perdono non glielo concedo. Ci alterniamo io e Casadio in questo monologare in cui ciascuno porta le proprie ragioni, il dolore per quanto mi riguarda, ma anche la rabbia nel vedere che c’è un’altra persona a piede libero, che vive tranquillamente la sua vita. Io voglio che l’altro rapinatore a tutti i costi venga preso, però ovviamente l’ergastolano non rivela il nome del suo complice latitante, per cui c’è anche una battaglia di nervi. Chi vive una situazione così dolorosa come può essere la perdita di una moglie e di un bambino di otto anni difficilmente riesce a perdonare. Raccontiamo la difficoltà del perdono, la rabbia, ci sono anche delle fantasie di me e di Claudio, che sono delle proiezioni, i nostri fantasmi se vogliamo così definirli. Siamo praticamente in due prigioni, una è quella reale dell’ergastolano e l’altra è quella che il mio personaggio Silvano Contin si è creato. Ha smesso di vivere, di fare il suo lavoro, ora fa il ciabattino in un supermercato, si è spento, è alimentato soltanto dalla rabbia. E’ un percorso molto difficile. La cosa bella è che il pubblico partecipa a questo spettacolo, interrogandosi su cosa avrebbe o non avrebbe fatto, è un teatro che stimola la partecipazione di tutti, non è un teatro passivo, coinvolge il pubblico emotivamente e lo fa riflettere. La bellezza di tutto ciò è quando il teatro riesce a funzionare come riflessione profonda,  emotiva sulle cose, non superficiale, per cui siamo molto contenti di questa partecipazione. Sono temi tipo tragedia greca, universali, per cui il pubblico si identifica con la storia che stiamo raccontando e viene coinvolto dalle vicende umane e dalle contraddizioni di questi due personaggi”.

Recentemente l’abbiamo vista nella fiction “Fuoriclasse 2” nei panni del preside pazzo Gianrico D’Astolfo, un ruolo diverso rispetto a quelli da lei interpretati finora…

“E’ un ruolo divertente, l’ho scelto proprio perché era una cosa diversa, per un attore è fondamentale cambiare, trovare altri stimoli. Questo preside, che è simpatico e un po’ pazzoide all’inizio, poi si capisce essere pazzo davvero, senza mezze misure, mi piace perché non ha la capacità di adattarsi, si è creato un mondo tutto suo. Sul set di “Fuoriclasse” c’era un clima molto bello, con la Littizzetto e con gli altri bravi attori, un clima divertente, che ha favorito queste invenzioni creative sul personaggio. Poi il regista Riccardo Donna lo conoscevo, è uno che lavora molto bene sulla tranquillità, per cui ognuno fa il proprio ruolo senza stress e il modo in cui si lavora ne garantisce anche la qualità”.

C’è un personaggio che non ha mai fatto e che le piacerebbe interpretare?

“Ce ne sono veramente tanti. Il mondo è pieno di cose stravaganti, di personaggi particolari che uno vorrebbe fare. Però un personaggio come quello che interpreto a teatro mi piacerebbe portarlo al cinema, o in televisione, anche se forse sarebbe un po’ forte per la tv, almeno per la nostra. Mi piacerebbe raccontare una persona apparentemente normale, che in seguito ad un dolore, scatena degli istinti bestiali e si trasforma un po’ in Mister Hyde”.   

In quali progetti la vedremo prossimamente?

“Per ora sono a teatro, tra pochi giorni finiamo la tournèe, poi tornerò nella mia scuola che si chiama “Percorsi d’attore”, aprile e maggio saranno i mesi clou…Questo lavoro con i ragazzi mi appassiona molto. Sto leggendo altri testi teatrali. Da quando ho conosciuto il preside D’Astolfo mi piace confrontarmi con personaggi diversi, per cui vorrei che i progetti avessero originalità. Poi purtroppo il nostro cinema ha anche un po’ di problemi, al di là delle commedie, i film che non sono di cassetta fanno un po’ più fatica a trovare finanziamenti. Sono progetti interessanti ma complicati, difficili da far partire. Mi tolgo però anche qualche sfizio, nel fare cose un po’ diverse”.

Lei è un grande tifoso della Roma. Pensa che possa lottare fino alla fine con la Juve per lo scudetto?

“E’ come Davide e Golia, la Juve è Golia, noi siamo Davide, c’è sempre la speranza che la Roma, allenata benissimo da Garcia, riesca nell’impresa. E’ molto difficile perché 8 punti da recuperare a 6 gare dal termine del campionato sono troppi. Però già mi sembra importante essere riusciti ad arrivare a questi risultati. Garcia è veramente un mago della psicologia, della motivazione, è molto bravo, ha costruito una squadra anche divertente. Lo spettacolo, per chi va a vedere la Roma, è in parte garantito, gioca un buon calcio, ha una mentalità più europea per quanto riguarda il gioco. Vediamo se si riesce a vincere la corazzata Juve, speriamo in qualche “aiuto” delle altre squadre”.   


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie ad Elena per aver pubblicato la nostra intervista.
Un grande grazie a Giulio Scarpati per la sua cortesia e disponibilità.
Un caro saluto

Francesca (Il Popolo Veneto)

elena ha detto...

Grazie a voi Francesca. Passo i tuoi ringraziamentoi a chi gestisce "in primis" e amministra questo spazio, che è un po' la casa di noi tutti, che è la cara Anna Maffei e ripeto i complimenti per questa bellissima intervista!