giovedì 1 novembre 2012

Articolo dal Corriere della Sera. Oscura immensità con Giulio Scarpati

"Oscura immensità" Scarpati sul palco, regia di Alessandro Gassmann

L'assassino chiede la grazia: in scena la pièce di Carlotto

L'autore: «Spunti autobiografici? No, ma credo nel riscatto»


ROMA — Giustizia, vendetta, perdono, pena. «Come si può chiedere al padre o alla madre di una vittima di perdonare l'assassino?». Giulio Scarpati torna in teatro nei panni di un uomo che ha visto uccidere, sotto i suoi occhi, moglie e figlioletto: Oscura immensità, tratto dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto, debutta il 7 novembre al Goldoni di Venezia (all'Elfo di Milano l'8 gennaio) con la regia di Alessandro Gassmann. «Non si ha la minima idea di quello che vivono i parenti delle vittime — osserva Carlotto, che cura anche l'adattamento drammaturgico —. Per loro, un abisso di dolore, di angoscia, una caduta agli inferi. Ho visto persone abbandonate in case con i letti disfatti e gli altarini con le foto dei loro congiunti ammazzati. Persone convinte che la pena scontata dal colpevole non sia mai abbastanza».
La storia si ispira a un fatto di cronaca. Silvano Contin (Scarpati), quindici anni dopo l'omicidio dei suoi cari, incontra l'assassino, Raffello Beggiato (Claudio Casadio), che sta scontando l'ergastolo e che, ormai malato di tumore, gli chiede di intercedere in suo favore per ottenere la grazia. È un duro confronto tra vittima e carnefice, entrambi lacerati dai drammi personali. «Mi implora di aiutarlo — riprende Scarpati — ma io sono combattuto tra la sete di vendetta, che ho coltivato in tanti anni di solitudine, e la pietas. Perdonare significa superare il dolore di una perdita». Interviene Carlotto: «Il sentimento della vendetta esiste e nella richiesta del perdono c'è una forte dose di ipocrisia, sostenuta anche dalla componente religiosa». Insiste Scarpati: «Il mio personaggio è prigioniero del dolore perché ha paura di dimenticare e ciò alimenta la sua rabbia nei confronti del colpevole». Carlotto: «Nei film, nei romanzi o nelle fiction, sì dà spesso più spessore narrativo alle figure dei criminali. Qui cerco di darne anche alle vittime». Scarpati: «Questo testo, ambientato ai nostri giorni, è una tragedia greca: rappresenta tutte le sfaccettature dell'animo umano e la violenza del linguaggio non è mai gratuita o volgare». Carlotto: «Amo il teatro come spettatore e come autore mi impongo di scrivere una pièce all'anno: è una disciplina che mi piace molto, un esercizio di scrittura fondamentale. Però — aggiunge — nasco come giallista e il noir è sempre figlio bastardo della tragedia greca, cui si rifà nei contenuti e nella struttura. Insomma, ce l'ho nel mio dna di scrittore».
Prolifico romanziere, Carlotto è tra gli autori di punta degli ultimi anni anche in palcoscenico: in aprile al Teatro Franco Parenti debutta il suo Niente, più niente al mondo, regia di Andrée Ruth Shammah. Alla metà degli anni 70 fu al centro di un clamoroso caso giudiziario: accusato di omicidio venne prima assolto per insufficienza di prove poi condannato a 18 anni di reclusione e, dopo un periodo di latitanza, fu graziato dal presidente Scalfaro.
Ora però assicura che la vicenda rappresentata non è autobiografica: «Sono passati quasi quarant'anni da quando fui accusato di omicidio e, se il trascorrere del tempo ha un senso, non credo valga la pena continuare a portarsi appresso una vicenda, neppure tanto unica nel suo genere, che è bene lasciarsi alle spalle. Siccome, però, sono stato per un po' "ospite" dello Stato — aggiunge — ho riportato in "Oscura immensità" l'esperienza collettiva del penitenziario, ciò che ho visto, che ho sentito e ho conosciuto in prima persona: per esempio, il carcere e la malattia; e soprattutto la necessità del "riscatto". Ecco — conclude — è questo il senso del testo: essere dalla parte delle vittime, di coloro che hanno subito il torto, ma prendere in considerazione anche chi ammette "ho sbagliato, datemi la seconda possibilità"».
Emilia Costantini
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