martedì 10 novembre 2009

Articolo da 'La Repubblica' di Genova


I mille volti del dottor Lele "Io un buono? È fuori moda"

Scarpati per due giorni al Politeama con uno spettacolo in cui sviscera il concetto di bontà in tutte le sue forme "Ormai non sembra un valore..."

LUCIA MARCHIO

In fondo con quella faccia da eterno bravo ragazzo si fatica a immaginarlocattivo. Giulio Scarpati, celeberrimo dottor Martini della fiction «Un medicoin famiglia», va in scena a teatro, lieve, ironico ma misurato, in «Troppo buono», tra aneddoti e riflessioni semiserie scritte insieme alla moglie NoraVenturini (pure regista della pièce) e all´amico Marco Presta.
Scarpati, sua moglie Nora la vede dunque troppo buono?

«No, anzi. Conoscendomi ormai bene da quasi trent´anni sa cosa mi si agitadentro. Alla fine, però, "esplodo" solo a teatro. Purtroppo viviamo in tempi incui la bontà non sembra nemmeno più un valore, ma quasi un marchio d´infamia.Si pensi che pure la Disney sta pensando di modificare la figura di Topolinorendendola più cattiva».

Quindi sviscera il concetto di bontà in tutte le sue forme...

«La bontà può raggiungere vette sublimi o disastrosi tracolli, è un"problema" ricco di sfaccettature compresa la stucchevolezza. Dal mio vissutopersonale a fatti di cronaca e letteratura, in scena porto di tutto mescolandocitazioni e canzoni: Califano e Petrarca, con quest´ultimo in difetto di frontealla poesia del Califfo; l´Amleto, il deamicisiano Cuore, le Beatitudini diRino Gaetano, Fossati, Jovanotti e Gaber. Con un incipit, "Essere o benessere",che la dice lunga, giocando ad uscire dagli stereotipi della realtà in un mondoin cui la bontà non va più di moda».

Il suo aspetto mite ed educato non la aiuta certo a essere un cattivo.

«Io vinsi il Premio Sulmona nel 1993 per il cortometraggio "Ciao amore":vestivo i panni di un insospettabile omicida e facevo a pezzi le mie vittime. Ariguardarmi, mi faccio paura da solo. E devo dire che mi piace confrontarmi emettermi in gioco coi vari personaggi, come quando impersonai don Luigi Di Liegro. Buono sì, ma con i cosiddetti attributi. L´attore è "avvocato" del personaggio che interpreta, deve trovare le sue ragioni, studiarlo, vedere le cose dal suo punto di vista e capire i suoi perché».

In scena, porta pure Giorgio Gaber e «Qualcuno era comunista».

«Ho vissuto il post sessantotto, il cambiamento concreto, le battagliecivili, il divorzio, le posizioni estreme e opposte. Gaber mi appassionava,sapeva dipingere la contraddizione di come si era... ma almeno politica con la p maiuscola e non la miseria odierna, in cui siamo in difficoltà sia a destra che a sinistra. Mi viene in mente un discorso di Kennedy sul Pil: qui non si tende al miglioramento delle condizioni culturali ed economiche del Paese, ma solo alla gestione del potere. Conta solo l´apparenza e lo status symbol. Lo stesso discorso vale per la televisione, il cui scopo era quasi educativo. Ora pare venga assecondato il senso peggiore delle cose e dei comportamenti umani,la tivù non si sente più investita da una missione di riscatto anche culturale,come nel dopoguerra. Ed è un peccato».

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