sabato 21 aprile 2007

L'ANTI-DIVO GIULIO SCARPATI





  • Giulio Scarpati, attore amato dal pubblico per il suo personaggio più ‘popolare’, Lele Martini di “Medico in famiglia”, ha da sempre evitato i rischi da sovraesposizione mantenendo vigile e alta la soglia della professionalità, della sfida personale e culturale, della voglia di rinnovarsi. Gli piacciono le strade in salita, sperimentare e sperimentarsi. Dalle varie interviste che l’attore mi ha rilasciato, sempre con estrema disponibilità,emerge una persona ed un artista davvero ‘anti-divo’ che lavora con passione, scegliendo con cura i propri ruoli-pignolissimo, in verità…!- e abbastanza reticente ad esporsi in alcuni ‘salotti’ televisivi solo per l’opportunità di ‘farsi vedere’. Si fa notare, piuttosto, per il tipo di cose che fa e che ha fatto. Al cinema, personaggi compositi, problematici, sofferti ,diretto dai vari Piccioni, Laudadio, Scola,Ponzi, Di Robilant; una serie di prestigiosi premi e riconoscimenti, film tv come “Compagni di branco” e “La casa bruciata”( prodotti significativi lasciati nel ‘dimenticatoio’ dalle emittenti….!).Giulio Scarpati non ha mai, nemmeno dopo tanta popolarità ai tempi di “Medico”, tradito se stesso e il proprio modo di porsi. Attendiamo la messa in onda su Canale 5 (in verità sarà più di un anno che se ne parla….)de“L’uomo della carità”. Del film Scarpati mi disse: “E’ un progetto cui tengo molto. Di Liegro è conosciuto a Roma perché con lui è nata la ‘Caritas’ come istituzione e perché, per merito delle sue opere, è mutata l’idea di solidarietà da pura opera di carità ad accoglienza(ancor piu’ che tolleranza). Apprezzo il suo coraggio di essersi confrontato con un potere che tende a ‘spendere’ per chi garantisce una sorta di consenso e si ‘risparmia’ per chi voce non ha…Non è stato un prete politicizzato ma ha saputo ‘trattare’ con l’amministrazione del tempo coinvolgendo stampa e quant’altro a prestare la giusta attenzione a persone che altrimenti sarebbero ‘relegate’. Problemi come l’AIDS, la pedofilia, la prostituzione, l’immigrazione, Di Liegro li ha messi sotto gli occhi di tutti, creando Centri nei cosiddetti quartieri “bene” della capitale laddove gli veniva invece richiesto di ‘decentrarli’..”Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere: questa frase racchiude il ‘senso’ della sua opera. Un uomo senza pregiudizi, pronto a mettersi in gioco per portare avanti ciò in cui più credeva, ovvero l’incontro con il prossimo». Personaggi intensi, significativi, di ‘spessore’, dunque. Chi lo ha visto nel 2001 in teatro, con un difficile monologo di Bernard-Marie Koltès, “La notte poco prima della foresta”, trasformato in un emarginato sporco, arrabbiato e alla ricerca disperata di un amore totale, avrà potuto apprezzare le ‘tinte più scure’ dell’attore e la sua grande forza comunicativa Al cinema sarà, a breve, con” Appuntamento a ora insolita”, con Ricky Tognazzi e Antonio Catania, film che racconta - attraverso le vicende che precedono l’incontro a cena di tre amici e delle loro compagne - le disillusioni di una generazione senza più i suoi ideali; qui Scarpati è un regista di ‘qualche successo’ che ha dimenticato il suo passato più serio e impegnato. E poi, ancora e sempre il teatro, che fa da ben 25 anni. E’ da poco terminata la ripresa di “Una storia d’amore” con la regia di Nora Venturini,traduttrice di un testo di Francois Nocher, che narra dell’ampio carteggio tra lo scrittore Anton Cechov e l’attrice Olga Knipper: lui, medico e grandissimo uomo di lettere, affetto da tubercolosi e,per questo costretto ad Yalta; lei, brillante attrice del Teatro d’Arte di Mosca, libera e appassionata. La particolarità di questo spettacolo è che i due si ‘parlano’ senza guardarsi, attraverso, appunto, le loro missive, sempre attese da entrambi: cronache di fatti quotidiani, sfoghi amorosi, simpatici bisticci. Scarpati interpreta un Cechov sarcastico ed ironico, ora deciso e autoritario, ora ammiccante e provocatorio, ora, ancora, debole per la malattia che lo pervade. Anche in questa pièce Giulio Scarpati convince, per la sua salda, pacata, ma energica espressività di bravo interprete, padrone della scena. L”´effetto-Lele probabilmente non finirà mai, anche perché, diciamolo, Giulio e ‘Lele’ si ‘assomigliavano’ molto per la semplicità, la gentilezza dei modi, la pazienza, la tenacia che accomunavano personaggio ed interprete….Ma non dimentichiamo che il dovere e il mestiere di ogni attore è comunque quello di offrire tanti aspetti di sé, tanti volti dell’umanità, ogni volta diversi ed originali.
    ANNA MAFFEI

  • IL SUO RECENTE SPETTACOLO:"UNA STORIA D'AMORE"











Questa è, a mio avviso, una delle più belle recensioni.Anche perchè conferma quel che penso dell'attore e dell'"uomo" Giulio Scarpati.




Un amore per posta è paziente e assoluto se firmato Cechovdi Jacopo Bulgarini d’Elci dal “Giornale di Vicenza”
Venerdì 17 Febbraio 2006Vicenza. Vivaddio, la tv non può tutto. Poco prima di assistere al nuovo lavoro portato in scena da Giulio Scarpati con Lorenza Indovina, "Una storia d'amore", e cioè la liaison sentimentale che lega, in un frenetico epistolario, le vite di Anton Cechov e Olga Knipper, si va all'incontro con gli attori organizzato al Vicenza.com Village. Innegabile: in mente si ha la faccia pulita e glabra da bravo ragazzo con cui il grande pubblico ha scoperto e amato Scarpati nei panni televisivi e leggeri del Lele Martini di "Un medico in famiglia". Sorpresa: quando Scarpati entra assieme a Lorenza Indovina nell'affollata saletta, neanche lo riconosciamo. Ha una bella barba, è rilassato, ironico e insieme serio, pensoso. Alla fine del brillante incontro moderato da Aristide Genovese, arriva la domanda dal pubblico: se il teatro è in crisi, non sarà colpa della tv? Scarpati sfodera un invidiabile aplomb. Propone di convertire il finanziamento statale al teatro in spot per informare il pubblico sugli spettacoli in corso. Arrivando persino a mettere in questione le responsabilità del teatro per spiegare la disaffezione del pubblico.
Arriviamo ben disposti all'appuntamento serale all'Astra. Piace subito la bella idea di dividere il palco in due parti: a sinistra la sobria casa rurale di Yalta dello scrittore Cechov; a destra il camerino raffinato e cittadino dell'attrice Olga Knipper, suo amore e poi moglie negli ultimi anni di una vita interrotta, a soli 44 anni, dalla tubercolosi. Un punto per la regia di Nora Venturini (moglie del protagonista) e per lo scenografo e costumista Bruno Buonincontri. Scelta felice anche perché consente di teatralizzare la selezione dell'epistolario tra i due amanti (440 lettere in 6 anni) che altrimenti, come annotava l'attore nell'incontro pomeridiano, rischiava un certo schematismo.
I due vivono mondi e vite separati: si parlano per lettera, divisi dal muro della distanza, avvicinati dall'amore assoluto per il teatro. Sono gli anni in cui Cechov scrive o riscrive "Zio Vania", "Le tre sorelle", "Il Giardino dei Ciliegi": spesso pensando all'amata Olga, che in parallelo li porta al trionfo con il Teatro di Mosca guidato, secondo i rivoluzionari canoni del realismo, da un certo Stanislavskij. Rari, e perciò preziosi, gli incontri: con i due attori nella stessa metà della scena, in una romantica passeggiata sul mare, avvinti nell'amplesso.
Emerge il ritratto di un Cechov ironicamente lunare, permeato da una levitas divina: malato e poi moribondo, non cessa di predicare, e inseguire, la felicità e l'impegno - a vivere, a costruire un mondo migliore. Si stupisce della commozione del pubblico davanti alle sue opere: ma come, io la intendevo come una scena comica, grottesca!
Emerge il disegno di un amore che sa essere paziente e assoluto: che contempla la solitudine come necessaria premessa all'autonomia di due vite votate alle lunghe, sofferte separazioni. "Let's be alone together, let's see if we are that strong", cantava il vecchio Leonard Cohen, saggio. Emerge una maturità di interpreti convincente e partecipata, di grande sintonia espressiva: la Indovina infonde alla sua Olga i tratti di una passione viscerale e profondamente femminile per il mestiere, e la "parte", dell'attrice negli inizi ruggenti del '900; Scarpati mostra, nei guizzi, nei gesti, nel sottotono, la capacità non banale di guadagnare al palcoscenico uno spazio di totale autonomia rispetto all'onnipotenza e alla pervasività dell'immagine conquistata sul piccolo schermo. Se si è nati a teatro, probabilmente, non si può vivere di sola tv: Scarpati ci mostra anche che di tv, in fondo, non si deve necessariamente morire.



dicono di Giulio...

Nato il 20/02/1956 a Roma, Italia
Biografia:
Occhi chiari, sorriso disarmante e indifeso, tecnica cristallina (ma non priva di cupezze e introversioni) è il ragazzo della porta accanto ma anche un prototipo maschile generazionale in cui predominano dolcezza e disorientamento.Sorregge d'istinto i primi piani e controlla attentamente i gesti nell'inquadratura.

da http://www.teatroteatro.it/
COSA STA FACENDO ORA?

Corso di recitazione con Giulio Scarpati








Sotto la direzione artistica di Giulio Scarpati, anche quest’anno si svolgerà a Roma lo stage intensivo di recitazione “Percorsi d’attore”.
Giulio Scarpati condurrà personalmente il corso, con la collaborazione didattica dell’attrice Silvia Luzzi e della regista Nora Venturini. Lo stage avrà luogo nella sede del Teatro “Le Maschere”, via A. Saliceti n°1/3 00153 Roma, dal 15 Marzo 2007 al 27 Aprile 2007, per la durata complessiva di 110 ore di lezione. Le selezioni per l’ammissione al corso avranno luogo a partire dalla metà del mese di Febbraio. Per informazioni e contatti: 347 – 8437605 06 – 58330817Il progetto è promosso con il sostegno dell’ I. M. A. I. E. (Istituto per la Tutela dei Diritti degli Artisti Interpreti Esecutori





E ANCORA....,SPERIAMO PRESTO SU CANALE 5, "L'UOMO DELLA CARITA'"PRESENTATO IN ANTEPRIMA AD OTTOBRE ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA.




Giulio Scarpati: "Conquistato da Di Liegro, prete di giustizia e carità"

ROMA Succede agl i attori di innamorarsi di un personaggio, e quando succede, anche ai più abituati al successo, ai più consapevoli che un film, uno spettacolo, una fiction sono niente perché il mondo resta quello che è, finiscano per parlarne con un entusiasmo che imbarazza. E’ successo a Giulio Scarpati quando gli hanno dato da leggere un copione su Don Di Liegro, quello della Caritas. L’idea era di Fabrizio Bettelli, ma Scarpati l’ha fatta sua. La moglie, la regista e sceneggiatrice Nora Venturini, si è messa al lavoro. E’ stato ricavata una sceneggiatura. Hanno trovato Lucisano disposto a produrla. La hanno proposta alla Rai che ha detto no. «Curioso questo diniego. Certo Di Liegro non è un papa, ma ha una storia interessantissima. E’ un prete di giustizia e carità, due doti che la chiesa sembra dimenticare, chiusa dietro regole e precetti come le mura di un fortino». Se la Rai ha detto no, Mediaset ha detto sì e Don Di Liegro, dopo una anteprima in settembre alla Festa del Cinema di Roma, andrà in onda in primavera su Canale 5. In questi mesi Giulio Scarpati è in teatro. Ha ripreso per la seconda stagione Una storia d’amore, le lettere tra Cechov e l’attrice Olga Knipper che poi sposerà, con Lorenza Indovina e la regia di sua moglie.Perché tra le tante cose che ha fatto questa su Don Di Liegro l’è rimasto nel cuore? «E’ la mia interpretazione migliore. Anzi, è la cosa migliore che abbia mai fatto. Forse perché c’è la regia di Di Robilant con cui avevo già realizzato Il giudice ragazzino. Oppure perché Di Liegro è stato una figura di alto valore morale. Non so. Mi ha emozionato. Quando la nipote mi ha prestato per il film una giacca di don Luigi e dentro la tasca ho trovato una bustina di zucchero che lui usava perché malato di diabete, mi sono commosso». Cosa raccontate del fondatore della Caritas? «Quei quattro, cinque momenti che hanno fatto di lui un prete diverso. Il lavoro in Belgio, minatore tra i minatori. L’esperienza a Roma tra i baraccati. L’apertura del centro della Caritas dietro la stazione Termini a tutti quelli che avevano bisogno di un pasto e di una parola. La Caritas esisteva già, ma lui le ha dato un senso più ampio. Ha detto più volte che la tolleranza non basta, serve l’accoglienza, rafforzando così l’associazionismo cattolico e l’impegno dei cristiani nel sociale. Poi l’incontro tra papa Giovanni Paolo II e un imam islamico nella sua famosa mensa. «Com’è quest’imam?», gli chiese il papa. «Un bravo cristiano», rispose. E l’amarezza per lo sgombero violentissimo della fabbrica Pantanella dov’erano un migliaio di senza tetto arrivati a Roma da ogni parte del mondo».Il momento più difficile della vita di don Di Liegro? «Forse quando decise di aprire un centro per i malati di Aids a Villa Glori, nel cuore dei Parioli. Ci fu una sollevazione, perfino un assalto al centro, con Buontempo, “Er Pecora”, in prima fila. Ma alla fine vinse lui. Era un uomo dotato di acuta strategia. Puntava sul consenso dei giornalisti e della stampa. Sapeva rispondere con intelligenza alle gerarchie ecclesiastiche che, dopo il concilio, cercavano di riprendere il controllo sui fedeli. Un po’ come succede oggi con quest’accanimento contro le coppie di fatto e le unioni omosessuali».E’ cattolico, Scarpati? «A modo mio. Non mi piace il cattolicesimo dei precetti».Adesso ricomincia «Un medico in famiglia»: pentito di non averlo voluto rifare? «Non potevo. Sono un attore. L’eccesso di identificazione con quel personaggio mi aveva bloccato. Per staccarmene ho dovuto recitare Coltez. Fare cinema. Ho appena finito Appuntamento a ora insolita con Ricky Tognazzi e Antonio Catania, in cui sono un regista di qualche successo che ha dimenticato il suo passato più serio e impegnato. Non sono uno snob. Voglio parlare alla gente comune. Ma voglio che capisca la bellezza. Una sera, a teatro in uno dei paesi vicino Napoli, mi sono reso conto che dovevo spiegare chi era Cechov e perché recitavamo le sue lettere d’amore. Non si dovrebbe fare. Lo so. Ma a me piace buttare un seme anche in quel che appare un deserto culturale. Chissà. Magari attecchisce».



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mercoledì 15 marzo 2006
Le altre parole del teatro con Giulio Scarpati



















Giovedì 16 marzo – Sala San Carlo - Teramo - ore 18,00 Giulio Scarpati: l’arte di insegnare l’arte. La scuola dell’attore: il teatro tra passione e didattica. Il grande pubblico ha cominciato ad amarlo con Lele, il Medico in famiglia. Ma Giulio Scarpati in televisione non è stato solo timido dottorino. C’è chi lo preferiva Commissario Bentivoglio, nella serie “Una famiglia in giallo. Oltre la televisione, e il cinema, Scarpati ha da sempre vissuto il teatro, nelle sue diverse spigolature, nelle sue diverse interpretazioni. Di questo e tanto altro si parlerà domani pomeriggio, alle 18, nella Sala San Carlo del Museo Archeologico in Via Delfico, per l’appuntamento con “Le altre parole del Teatro”, incontri con l’autore organizzati dalla Società della Musica e del Teatro primo Riccitelli. Nato a Roma il 20 febbraio 1956, Giulio Scarpati si afferma presto come uno degli interpreti emergenti del panorama cinematografico, televisivo e teatrale italiano. In teatro lavora dal 1977 all’83 con la Cooperativa Gruppo Teatro G. Interpretando opere di Carlo Goldoni, Wolfgang Goethe e Denis Diderot.

In seguito - fra le altre - Prima del silenzio (1991-’92), regia di Giuseppe Patroni Griffi, Ifigenia in Tauride (1994), Lorenzaccio (1996) e L’idiota (1999). Al cinema si fa conoscere al grande pubblico nel ‘91 con i film La Riffa e Chiedi la luna (1991). Nel ‘92 è uno degli interpreti di Tutti gli uomini di Sara, di Gangster e Mario, Maria e Mario. Nel ‘93 la sua attività cinematografica prosegue con 80 metriquadri. Poi ottiene grande popolarità con Il giudice ragazzino (1994). Per l’attore romano il ‘95 è l’anno più intenso. Diverse le sue interpretazioni. A cominciare da L’estate di Bobby Charlton. Quindi Il cielo è sempre più blu e Pasolini, un delitto italiano. Nel ‘96 interpreta Italiani e Cuori al verde. Poi due serie tv. La casa bruciata, nel ‘97. Un medico in famiglia per RaiUno nel 1998-’99. E nel 2001, per Mediaset, la fiction Cuore dal romanzo di Edmondo De Amicis. La sua filmografia comprende: Il lungo inverno di Ivo Micheli (1984); Roma, Paris, Barcellona di I. Spinelli, P. Grassini (1989); Chiedi la luna di Giuseppe Piccioni (1989); La riffa di F. Lauda-dio (1991); Tutti gli uomini di Sara di G. P. Tescari (1991); Gangsters di M. Guglielmi (1992); Mario, Maria e Mario di Ettore Scola (1993); Il giudice ragazzino di A. Di Robilant (1994); L’estate di Bobby Charlton di M. Gugliel-mi (1995); Pasolini, un delitto italiano di M.T. Giordana (1995); Italiani di Maurizio Ponzi (1996); Cuori al verde di Giuseppe Piccioni (1996); Figurine di G. Robbiano (1997). In televisione lo abbiamo visto in: Colpo di fulmine di G. Fago (1985); Contro ogni volontà di P. Passalacqua (1991); La scalata di V. Sindoni (1992); 80 mq di Luca D’Ascanio (1993); Compagni di Bran-co di Paolo Poeti (1996); Vite blindate di A. Di Robilant (1998); La casa bruciata di M. Spano (1988); Un medico in famiglia di Riccardo Donna (1999); Cuore di M. Zaccaro (2001). In teatro ha intepretato: Le smanie per la villeggiatura; L’esperienze di G. Meister; Il drago; Jacques ilfatalista; Il candelaio di Aldo Trionfo (1981); Il trionfo dell’amore di Antoine Vitez (1985); Le donne di casa soa di G. De Bosio (1986); Orfani di Ennio Coltorti (1988); Piccola Città di Ermanno Olmi (1989); La sposa di Messina di Elio De Capitani (1990); Prima del Silenzio di Aldo Terlizzi (1991); Gocce d’acqua di Nora Venturini (1992); Colpi Bassi di Nora Venturini (1993); Ifigenia In Tauride di Massimo Castri (1994); Lorenzaccio di Maurizio Scaparro (1996); L’idiota di Gigi Dall’Aglio (1999); La notte poco prima della foresta di Nora Venturini (2001).
“La Repubblica” 13 maggio 2000
Scarpati, un Idiota mite e luminoso

Il “medico in famiglia” a teatro con Dostoevskij ROMA - Cosa è importante e di per sé stimolante, e cosa può fondarsi solo su facili consensi, nella proposta de L’idiota di Dostoevskij in forma teatrale con Giulio Scarpati ora al Quirino di Roma nel ruolo del malato, fulgido e inerme principe Myskin? La notorietà acquisita da Scarpati con Un medico in famiglia è un fatto incontestabile, e la ricaduta in termini di un po’ di spettatori in più dal vivo non scandalizza, soprattutto considerando che qui non si clona sulla scena il repertorio televisivo ma si attinge a un universale autore russo. Altri sono gli aspetti che fanno convergere l’ interesse su un’operazione del genere: Myskin è l’antenato dei buonisti (assertivi e pedanti), è il prototipo degli innocenti (piuttosto pavidi), è un giovane laico in odore (impotente) di santità, ed è un’icona del disagio (oggi assurto a categoria etica) per via di quell’epilessia così debilitatrice, così emarginante, così intellettualmente causa di irrisolutezza. Ecco, allora, qualche verosimile chiave che distoglie dalla letteratura L’idiota, e volta pagina dal malessere esistenziale di un Albertazzi che fece epoca in Tv, ma direi che per quest’edizione riscritta più dettagliatamente da Angelo Dallagiacoma, con regia da documento sociale odierno in bianco e nero e dissolvenze a opera di Gigi Dall’Aglio, noi torneremmo ancora a parlare del peso non divistico quanto attitudinale di Scarpati, della sua somatizzazione del personaggio, del suo connaturato ritegno, di una certa sua “bambinaggine” che lo rende ovunque interprete smarrito e luminoso, soggetto mite e quasi morale, adatto a figure picaresche e a caratteri ignavi. Il suo stazionare a mani congiunte, il suo muoversi con la flemma degli stoici costretti ad adottare il ritmo di vita normale degli altri, il suo parlare contemplativo o concitato, è un’anatomia illustrata e senza tempo dell’Idiota. Il largo desolato delle sue istanze umane, del suo manifestare affetto senza slancio alla passionale e scettica Nastasja Filippovna che alla fine viene assassinata dall’amico Rogozin per l’ insopportabilità del suo relativismo amoroso, e di tutte le ansie di lui anima bella nel contesto di trame pietroburghesi che sono una sinfonia di eccessi e di ignavie, l’intera parabola dostoevskijana viene punteggiata da una composizione di Fabrizio Romano eseguita al pianoforte da Andrea Bianchi in una sorta di buca al centro del palcoscenico. E’ funzionale, e rispecchia i percorsi interiori, questo innesto di partitura continua. La trama essenzializza in cento pagine di copione e tre ore di spettacolo le ottocento pagine del romanzo. I quadri si susseguono e s’intersecano in uno spazio neutro nero con vari scorrimenti agili di pannelli, e solo i personaggi mostrano un segno epocale nei costumi, tutti antracite eccetto il vestito rosso fiamma di Nastasja. Non c’è calligrafia, né malinconia, nel montaggio di Dall’Aglio. Manca forse un’emozione, ma è giusto che non si speculi su una questione endemica de L’idiota. Ricorderemo, accanto al giusto Scarpati, la Nastasja di Mascia Musy, il Rogozin di David Sebasti, il generale e la moglie resi da Piero Sammataro e Leda Negroni, e l’Aglaja di Frida Bruno.
Rodolfo Di Giammarco



Da “Il Secolo d’Italia” del 23 novembre 1996
Lorenzaccio, dolente eroe









Flavia Bruni


Quanta irruenza, quanta inquietudine giovanile, quanta dissoluzione e purezza c’è in quell’arcangelo di morte, in quell’Amleto ossessionato dall’omicidio, in quel Bruto shakespeariano il cui unico fine apparente è vendicare la libertà che è il Lorenzaccio di de Musset. Lorenzo de’ Medici, il peccaminoso cugino di Alessandro, duca di Firenze, redento unicamente dall’omicidio del parente che aveva condotto la città sull’orlo del più oscuro baratro, è una delle creature più affascinanti del teatro moderno. Maurizio Scaparro l’ha portato in scena in uno spettacolo che ha segnato felicemente il Festival d’Autunno vicentino che lo stesso dirige. E Scaparro lo indaga e lo denuda portandone fuori la carica eversiva, lo scontro tra potere e illusioni, il dissidio di un Bruto che ancor prima di agire sa che a nulla servirà il sacrificio di quel tiranno a lui fraterno.Ventitré anni aveva de Musset quando cominciava a scrivere questo personaggio di uguale età. In lui, e di questo Scaparro fa tesoro, trasfuse l’angoscia che egli stesso provava quando veniva preso per un dissoluto. Il terrore di non potersi redimere dalla corruzione una volta caduto è uno dei temi più insistenti del de Musset giovanile. E questo terrore, che nel Lorenzaccio esplode tragicamente, tanto più si accentuò negli anni della stesura del dramma; peggiorato dalla presenza vicina di George Sand che nel volerlo redimere intanto ne accresceva l’incubo. E d’ altra parte fu insieme alla Sand che de Musset conobbe Firenze (peraltro non amandola particolarmente), come dalla stessa mutuò l’idea del Lorenzaccio e una prima sceneggiatura che la Sand aveva abbozzato sull’argomento con la scena storica di Une conspiration en 1537.“Lorenzaccio”, Lorenzo maledetto, ragazzaccio che la notte organizza convivi d’amore con le donne più belle di Firenze, o con quante, molte, per una carezza di Alessandro avrebbero fatto scintille. Ma dietro quel deboluccio compagno di avventure notturne, dentro quel corpo inflaccidito e disabitato dalla morale, ancora batte un cuore umano. E Lorenzo se ne stupisce quando si chiederà: “Son proprio i battiti d’ un cuore umano quelli che sento sotto le ossa del mio petto?”. Lorenzaccio decide di uccidere Alessandro. Perché lo fa? In fondo a lui Alessandro non ha fatto neanche del male. È l’utopia disperata, di cambiare qualcosa o l’utopia altrettanto disperata di salvare se stesso? Perché in verità l’utopia in Lorenzo si è già infranta. Lorenzo sa di che cosa è fatta l’ umanità. Aspettava da sempre che gli facesse vedere sul volto qualcosa di onesto (sono parole sue!) la osservava “come un innamorato osserva la sua fidanzata, aspettando il giorno delle nozze”. Egli non dubita che esistano uomini buoni ma sa che la coscienza “viva” non serve a niente se il “braccio è morto”. Disilluso ancor prima di vendicare la tirannia, in realtà Lorenzo è doppiamente utopico perché anche la salvezza conquistata col sangue che dovrà pulirlo di una vita massacrata, non è che fantasia. L’ ombra dell’ uccisione è come un “corvo” che lo segue e che ha distrutto tutti i sogni.E nello splendido teatro dell’ Utopia scaparriano non poteva non esserci un eroe così bello nell’ abbrutimento, così vivo nell’inerzia del verbo, così lancinante nella sofferenza morale che lo consuma, così vero nella falsità di politici e cardinali che lo circondano. Ed è tanto più triste assistere alla sua fine quando lo vediamo insieme a Filippo Strozzi. Giovane e vecchio a confronto dove il primo è più disilluso del secondo.L’ ottima regia si avvale dell’ accorta traduzione di Paolo Emilio Poesio e di un cast di attori molto preparati. Ma un cenno speciale merita senz’ altro Giulio Scarpati, essenziale per la riuscita dello spettacolo. Una recitazione autentica e scarna. Un personaggio costruito dal di dentro. Gli occhi ora infuocati ora assenti, ora visionari ora perduti, Scarpati ci regala un Lorenzo fanciullesco, dolente, scettico e ingenuo, innamorato e disgustato dell’ amore, sconfitto e pieno di speranza. Un eroe dove la luce e la tenebra si inseguono eternamente cercando di annullarsi reciprocamente. Completano l’ “ensemble” affiatato ed efficace Fernando Pannullo, Leda Negroni, Piero Sammataro, Patrizia Zappa Mulas, Max Malatesta, Giulio Pizzirani, Antonella Schirò, Maximilian Nisi. Ancora Massimo Romagnoli, Simeone Latini, Salvatore Lazzaro, Frida Bruno, Massimiliano Andrighetto e Domenico Orsini. Le scene e i ricchi costumi sono di Roberto Francia, le musiche incalzanti di Pasquale Scialò.
Giulio Scarpati in teatro: "55 minuti che raccontano una vita"














di Anna Maffei

Un testo difficile, ”La notte poco prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès, uno dei più inquieti ed inquietanti drammaturghi francesi degli anni ottanta. In tournée per due mesi, l’attore Giulio Scarpati ha “sfidato “ se stesso e il suo pubblico proponendosi in una veste completamente diversa. Benevento, Milano, Napoli: queste alcune delle tappe di un tour forse un po’ breve data la notevole qualità del prodotto teatrale. Certamente il successo di “Cuore” lo ha riproposto al grande pubblico televisivo; è tornato ancora in TV, su Rai Uno, nel film “Resurrezione” dei Fratelli Taviani ma le attese del pubblico sembrano essere sempre quelle di ruoli pacati, confidenziali, rassicuranti… Invece la sorpresa. Nello spettacolo di Koltès, con la regia di Nora Venturini, Scarpati scuote tutti.


Intanto un monologo. Difficile “entrarci”, da spettatore, ma qui, in una scena spoglia, con solo una sedia vuota e un giubbotto di pelle nera, c’era tutto.Suoni metropolitani, melodie spezzate, ritmi lontani in una realtà buia, rotta da fasci di luce. E un’attesa. Sembrava dovesse giungere qualcuno o qualcosa all’improvviso… A guardar bene ,invece, c’era già tutto: lui, lo “straniero”, occupava lo spazio nero con i suoi pensieri, ora schivando gli specchi schizzati di pioggia che lo circondavano, ora aggrappandosi, disperato. Le parole sgorgavano dalla mente, dal cuore, dai visceri: un fiume ininterrotto, frenetico, rabbioso. Forse desiderio di vendetta: vendicarsi di quegli “stronzi attruppati alle spalle” [cit.], che ti usano a loro piacimento, o delle donnine bionde che ti attraggono e poi… ti imbrogliano. Ma non è vendetta. E’ bisogno di comunicare, trovare il modo per farlo, senza rinnegarsi.
E poi la voce dell’attore: affannata, decisa, poi disperata, improvvisamente dolce, carezzevole, quasi flebile e indifesa di fronte a un mondo avverso che “copre”, “affossa” come la “puttana che mangiava la terra dei cimiteri” [cit.] di cui nessuno voleva sentir parlare. Un’emarginazione resa in modo esasperato che, però, non ha fatto ‘tendere i nervi’ al pubblico. Si restava rapiti da quel tessuto di parole, dai ‘ritorni’ dei pensieri che poi non erano più gli stessi: tornavano sempre più ricchi, più pieni. Emozionante il finale, benché finale non fosse perché la ‘pioggia’ che continuava a cadere sul protagonista dava il senso di qualcosa che non può mai finire… ma emozionante perché d’improvviso si fa luce nella sua mente e tutto scorre veloce: i suoi incontri, le bruttezze, le illusioni. Prima che le luci si spengano e la musica svanisca, è bello l’abbraccio, segno di un amore che finalmente si dichiara, a quell’agognato ‘compagno di viaggio’ che non è lì (c’è il suo giubbotto) ma è solo un’evocazione. Così come evocato è un campo d’erba dove sdraiarsi, degli alberi, un posto sicuro, tranquillo, senza doversi nascondere ai margini di una foresta per non essere ‘preso’ e ‘sbattuto’ ancora una volta in un altro posto.Davvero incisiva, dunque, in questa pièce l’interpretazione di Giulio Scarpati; i suoi occhi indagavano lo spazio scenico con uno sguardo che aveva ‘il punto di fuga all’infinito’; la voce ora strozzata dalla rabbia, ora dolce per il ricordo, attirava. Finalmente un ruolo che evidenzia una forte carica interiore e, al tempo stesso, un’aggressività e una sensualità che gli stanno davvero bene addosso. Probabilmente questo è il vero Scarpati e il pubblico se n’è accorto. D’altronde la sua ‘nascita’ come artista è avvenuta sul palcoscenico di un teatro.Forse non tutti lo sanno.



2 commenti:

elsa ha detto...

Commentare questi articoli...???? e come si fa ... se tutto ti è entrato "nel cuore" sin dal primo momento che lo hai visto..??? Myskin, Don Silvestro, Antonchick e Olija e, in modo "violento" ma STUPENDO, il "sans papier" di Koltes ... Ho un solo rammarico: non aver visto Lorenzaccio ... ma sono certissima che mi avrebbe "riempito l'animo" nello stesso modo, arricchendomelo....

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